L’altra sera ho visto per la prima volta il DVD del film “Quasi amici” (trovate qui la scheda del film sull’IMDB, qui invece una recensione critica). So che il film ha avuto successo qualche anno fa, e dovrei fare un mea culpa per non averlo guardato prima, ma il tempo per questi divertimenti è poco (e di solito dedicato a film più mirati verso i bimbi), anche se devo dire che mi è piaciuto molto. In coda alla visione mi è però venuta da fare una riflessione, stimolata forse da un brutto articolo di Wired che avevo letto un paio di giorni prima.
Il film, per chi non lo conosce, narra la storia di un tetraplegico bianco e ricco bloccato su di una sedia a rotelle e di un “badante” di colore proveniente da un ambiente degradato che insieme riescono a (ri)trovare una maniera di vita meno isolata dal guscio in cui si trovano, il tutto con un tono di commedia. Il film è simpatico, tratta argomenti seri e gravi con lievità ma senza leggerezza (e su questo versante mi ha ricordato “La vita è bella” di Benigni). Mi sono ritrovato a pensare che un film su di un argomento del genere qui in Italia avrebbe sicuramente preso un’altra direzione: invece di far percorrere ai protagonisti una strada di rinnovamento e di riapertura alla vita, si sarebbe scelto di mettere sul piatto la scelta opposta di come far terminare una vita che apparentemente non offre più niente al protagonista tetraplegico.
Se ci pensiamo bene il dibatto che ogni tanto si riaccende su questi argomenti tira fuori sempre il discorso dell’eutanasia, cioè della possibilità di far terminare la vita a chi è in condizioni gravi per malattia o handicap, invece di proporre cosa si può fare per aiutare queste persone a proseguire il proprio cammino senza dolore e con uno scopo od una prospettiva. Si preferisce dare alle persone una scelta di morte e di annullamento, piuttosto che la possibilità di ritrovare un senso ed una dignità della propria esistenza, anche se ha di fronte la prospettiva di una breve durata oppure non sembra avere alcun significato. Si scegliere di essere “quasi nemici” invece che “quasi amici” di chi è in difficoltà (specialmente se grosse), pensando così di aiutarli oppure per tacitarsi la coscienza ritenendo di avergli fatto un favore. Dovremo invece imparare da chi ha provato ad aiutare persone come queste, facendogli ritrovare un calore umano, invece de freddo abbraccio della morte in solitudine. Mi viene in mente madre Teresa di Calcutta (che potrebbe esserci di esempio in moltissimi casi), che aiutava gli ultimi ed i diseredati nelle citta dell’India, curandoli ed assistendoli anche quando erano in punto di morte. Uno di questi, prima della fine, gli chiese: “Io ho vissuto come un animale, perché adesso mi vuoi far morire da uomo?”
Il film, per chi non lo conosce, narra la storia di un tetraplegico bianco e ricco bloccato su di una sedia a rotelle e di un “badante” di colore proveniente da un ambiente degradato che insieme riescono a (ri)trovare una maniera di vita meno isolata dal guscio in cui si trovano, il tutto con un tono di commedia. Il film è simpatico, tratta argomenti seri e gravi con lievità ma senza leggerezza (e su questo versante mi ha ricordato “La vita è bella” di Benigni). Mi sono ritrovato a pensare che un film su di un argomento del genere qui in Italia avrebbe sicuramente preso un’altra direzione: invece di far percorrere ai protagonisti una strada di rinnovamento e di riapertura alla vita, si sarebbe scelto di mettere sul piatto la scelta opposta di come far terminare una vita che apparentemente non offre più niente al protagonista tetraplegico.
Se ci pensiamo bene il dibatto che ogni tanto si riaccende su questi argomenti tira fuori sempre il discorso dell’eutanasia, cioè della possibilità di far terminare la vita a chi è in condizioni gravi per malattia o handicap, invece di proporre cosa si può fare per aiutare queste persone a proseguire il proprio cammino senza dolore e con uno scopo od una prospettiva. Si preferisce dare alle persone una scelta di morte e di annullamento, piuttosto che la possibilità di ritrovare un senso ed una dignità della propria esistenza, anche se ha di fronte la prospettiva di una breve durata oppure non sembra avere alcun significato. Si scegliere di essere “quasi nemici” invece che “quasi amici” di chi è in difficoltà (specialmente se grosse), pensando così di aiutarli oppure per tacitarsi la coscienza ritenendo di avergli fatto un favore. Dovremo invece imparare da chi ha provato ad aiutare persone come queste, facendogli ritrovare un calore umano, invece de freddo abbraccio della morte in solitudine. Mi viene in mente madre Teresa di Calcutta (che potrebbe esserci di esempio in moltissimi casi), che aiutava gli ultimi ed i diseredati nelle citta dell’India, curandoli ed assistendoli anche quando erano in punto di morte. Uno di questi, prima della fine, gli chiese: “Io ho vissuto come un animale, perché adesso mi vuoi far morire da uomo?”
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